REGGIO EMILIA – C’è un prima e c’è un dopo l’inchiesta Aemilia: non solo nella percezione rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata, ma anche nei comportamenti stessi della presunta cosca, di cui Antonio Valerio è ritenuto un uomo di punta.
E’ il pentito in aula, nella quarta udienza dedicata all’ascolto della sua testimonianza, a spiegare il comportamento del gruppo. Lo fa parlando di un incendio appiccato a un camion dei Vertinelli: uno sfregio fatto da un membro dell’organizzazione. Così si usava fare, dice, sempre nell’ottica dei debiti e dei crediti. Un segnale, che aveva il doppio valore di far indagare gli inquirenti, di dare fastidio a questo o quell’altro, a seconda delle necessità: “Quando non c’erano più affari in comune, a me non importava che indagassero su un singolo: prima di Aemilia non indagavano su di noi tutti insieme”.
Nel racconto siamo arrivati alla metà degli anni 2000: i Sarcone, dice Valerio, controllano il locale di Reggio Emilia. Nicolino e i fratelli Gianluigi, Beppe e Carmine. Si continua a organizzare omicidi: quello ai danni di Angelo Salvatore Cortese, oggi pentito pure lui, rimarrà un tentativo. Cortese era arrivato in città, da Cutro, nel 2004 e iniziava ad allargarsi.
Riesce, invece, l’omicidio di Luca Megna, il figlio del boss Mico Megna. Un delitto che matura per questioni cutresi, ma la solidarietà tra i membri interviene e Reggio si attiva. Marzo 2008: nell’agguato a Papanice di Crotone rimane ferita in maniera gravissima anche la figlioletta di Megna: “E’ stato finanziato a Reggio – dice il pentito – 200/300mila euro ci vogliono”.
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